Il termine alessitimia, o alexitimia, non è conosciuto e diffuso come lo sono altre terminologie psicologiche. L’alessitimia, in una descrizione molto sintetica, è la difficoltà di riuscire a riconoscere, nominare ed esprimere le emozioni.
L’etimologia della parola deriva dal greco, e significa letteralmente “mancanza di parole per le emozioni“.
Nella vita di ogni persona le emozioni giocano un ruolo fondamentale e la loro corretta espressione è alla base della nostra salute (non solo mentale) e del senso di benessere generale. Si capisce già da queste prime righe quanto una persona che risulta essere alessitimica possa vedere coinvolte vaste aree della sua esperienza di vita: da quelle relazionali a quelle affettive, passando anche per il proprio vissuto interno (intrapsichico).
L’alessitimia non rientra nelle categorie nosografiche, bensì in una dimensione di personalità che viene caratterizzata da due fattori:
- un deficit della consapevolezza emozionale (scarsa intelligenza emotiva),
- un deficit del pensiero operatorio.
Nel soggetto alessitimico si verifica pertanto la difficoltà ad identificare e descrivere le emozioni provate, un pensiero orientato alla riduzione dei processi immaginativi e uno stile cognitivo orientato verso la realtà esterna (fisica) a discapito di quella interna (psichica).
Proprio trattandosi di una dimensione di personalità, deduciamo che non esistano persone “alessitimiche” o “non alessitimiche”, piuttosto persone con diversi livelli di alessitimia.
Come si sviluppa l’alessitimia: eziologia
Tra le cause tipiche del soggetto alessitimico, una delle principali è il tipo di relazione con i propri genitori nel periodo dell’infanzia, periodo cruciale per lo sviluppo psicoaffettivo di ogni persona.
In certi casi un attaccamento eccessivo con i propri genitori, come ad esempio in un rapporto simbiotico con la figura materna, è uno dei predittori di alessitimia più frequenti.
Ma anche la frequente separazione dalle figure di accudimento nell’infanzia, magari causata dai ritmi di lavoro dei genitori, può favorire lo sviluppo dell’alessitimia. A tal proposito ci sono stati molti interessanti studi circa la maggiore incidenza di malattie nei bambini sistematicamente “deprivati” della presenza (e dell’affetto) dei propri genitori/tutori.
Non è solo una questione di quanto tempo il bambino trascorre con i propri genitori, ma anche la qualità delle esperienze e del rapporto con essi. Gli stimoli emotivi, oltre a quelli cognitivi e relazionali, dovrebbero essere sempre presenti.
Il rapporto con le nostre figure di accudimento, proprio nell’infanzia, è cruciale per la sperimentazione di una adeguata e congrua relazione affettiva, che possa consentire al bambino di stimolare e sviluppare le proprie abilità cognitive al pari della capacità di autoregolazione emotiva.
Saper comunicare ed esprimere le proprie emozioni in età adulta è quindi l’esito auspicabile che si ottiene attraverso un adeguato processo di crescita nell’età evolutiva, inclusa l’adolescenza.
Come si riconosce l’alessitimia?
Le prime difficoltà risultano emergenti nel periodo della seconda infanzia e della fanciullezza; tra i segnali dei bambini alessitimici che possono essere osservati troviamo:
- espressione emotiva agita con l’azione e non con le parole;
- espressione verbale non congrua allo stato d’animo provato;
- scarsa comprensione del punto di vista dell’altro;
- difficoltà nell’apprendimento sociale e affettivo;
- incapacità di separazione dalla figura materna.
L’adulto alessitimico, in una situazione di colloquio clinico potrebbe mostrare difficoltà analoghe, ma lievemente più “raffinate”, mascherate in un modo che non sempre viene colto agevolmente. A titolo di esempio, ecco di seguito alcuni degli scambi tipici che si hanno con una persona alessitimica:
Esempio 1
Psicologo: “Come si sente?”
Alessitimico: “Ho le mani che tremano”
Psicologo: “E cosa sta provando in questo momento?”
Alessitimico: “Non saprei. Cosa significa quando le mani tremano in questo modo?”
Esempio 2
Psicologo: “Cosa ha provato quando si è rotta la tubatura del bagno?”
Alessitimico: “Ho proprio bisogno che il bagno funzioni”
Esempio 3
Psicologo: “Come ha trascorso la settimana? Ha avuto nuovi screzi con suo marito?”
Alessitimica: “Non benissimo, ho avuto il solito mal di testa”
Esempio 4
Psicologo: “Come si immagina tra cinque anni?”
Alessitimico: “Questa domanda non me la sono mai posta”
Psicologo: “E se le chiedessi di pensarci ora?”
Alessitimico: “Non riesco ad immaginare nulla”
Questi esempi mostrano non solo la difficoltà di riconoscimento delle emozioni, ma anche la tendenza a confondere le sensazioni corporee con i processi del proprio “mondo interno”, quello psichico. Anche la produzione immaginativa risulta carente, quando non assente, così come c’è povertà di entusiasmo e scarsi interessi (sia specifici che generici).
Nelle persone con alessitimia possono verificarsi anche esplosioni di collera/rabbia o crisi di pianto, in entrambi i casi con grandi difficoltà di legarne un motivo specifico.
I sogni dell’alessitimico non sono quasi mai ricordati e sono spesso presenti incubi. Lo scambio comunicativo appare privo di sfumature e digressioni, con una tendenza alla normalizzazione (“va tutto bene”).
Anche il riconoscimento delle espressioni facciali, soprattutto negli alessitimici più gravi, risulta parzialmente compromesso.
Perché è importante intervenire sulla alessitimia
Quello della alessitimia è un costrutto importante da considerare in termini psicopatologici. Dopo oltre trenta anni di ricerche in merito, si è stabilito chiaramente come essa costituisca un fattore di vulnerabilità per una pluralità di patologie, sia mediche che psichiatriche, soprattutto per le somatizzazioni.
Molti studi, infatti, hanno fatto emergere come l’alessitimia sia strettamente correlata ad un aumento delle risposte neuroendocrine e a uno stato immunitario indebolito, che predispone alla somatizzazione e a malattie mediche.
In particolare, l’alessitimia sarebbe significativamente correlata a:
- ipertensione,
- dispepsia,
- disturbi sessuali,
- abuso di sostanze,
- disturbi d’ansia,
- disturbi alimentari,
- ideazioni suicidarie e tentativi di suicidio.
Trattamento della alessitimia
L’alessitimia si presenta quasi sempre in una forma egosintonica, ovvero non viene percepita come fonte di disagio, almeno fino a quando non produce sintomi importanti come stati depressivi o ansiosi o fino a quando qualcuno (ad es. il partner o un familiare) non propone alla persona di provare a contattare uno psicologo.
Alla presa di consapevolezza della propria situazione alessitimica la persona può provare il timore di non poter superare questo suo stato. Ma in realtà quella della alessitimia è una condizione su cui è possibile intervenire, anche in età adulta, a patto che sia presente (o possa essere attivata) una buona motivazione al cambiamento.
Pertanto la competenza emotiva, al pari di tutte le abilità dell’essere umano, può essere ripristinata, sviluppata e migliorata.
Tra i contributi scientifici utili al professionista ci sono quelli di Peter Fonagy sulla mentalizzazione (intesa come la capacità di capire ciò che le persone pensano e sentono, nonché la capacità di capire ciò che noi stessi pensiamo e sentiamo, ovvero il saper “pensare il pensiero“).
Da tali studi emerge che l’obiettivo primario con i pazienti incapaci di mentalizzare sia proprio quello di sviluppare questa capacità.
Da quanto descritto, appare evidente come l’alessitimia sia una condizione che andrebbe affrontata con l’intervento di uno psicologo, che possa valutare la situazione specifica e pianificare un corretto intervento terapeutico.
Riferimenti
- Fonagy P. (2009), Attaccamento, trauma e psicoanalisi: dove la psicoanalisi incontra le neuroscienze, in Di Sauro R., Pennella A. R. (a cura di), La mente nella mente. Teoria e clinica della funzione riflessiva, 2009, Arancne, Roma
- Imbasciati (2010), Qualche interrogativo sulla talking cure, Psichiatria e Psicoterapia 29
- Jones, B. A., (1984), Panic attacks with panic masked by alexithymia, Psychosomatics, 25
- Lumley, Mark A.; Karen K. Downey, Laurence Stettner, Francine Wehmer, and Ovide F. Pomerleau, (1994). Alexithymia and negative affect: relationship to cigarette smoking, nicotine dependence, and smoking cessation, Psychotherapy and Psychosomatics, 61
- Todarello O., Casamassima A., Daniele S., Marinaccio M., Fanciullo F., Valentino L., et al. (1997), Alexithymia, immunity and cervical intraepithelial neoplasia: replication, Psychoterapy and Psychosomatics
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