Attacchi di rabbia: la psicologia dietro gli scatti d’ira

Tra l’ampia gamma delle emozioni, la rabbia rientra in quelle cosiddette “di base”, ovvero quelle emozioni primordiali strettamente connesse alla sopravvivenza. La rabbia ha pertanto, in condizioni normali, una riconosciuta funzione adattiva.

Ma come ogni emozione umana, anche la rabbia può rivelarsi disfunzionale e ciò avviene quando la sua espressione (gli attacchi di rabbia, definiti anche scatti d’ira), sia in termini quantitativi che qualitativi, va a compromettere le relazioni dell’individuo, influendo negativamente sulla qualità della sua vita. Non di rado chi soffre di attacchi di rabbia risulta essere un soggetto alessitimico.

Il vissuto tipico di chi esperisce un attacco di rabbia incontrollato è quello di un senso di colpa interno, al quale si reagisce in modi non sempre funzionali.

La rabbia può produrre sofferenza in noi e in chi ci è vicino e, se incontrollata, può far mettere in atto azioni dannose sia verso noi stessi che verso gli altri. Inoltre tali manifestazioni possono aver luogo sia in contesti privati (es. la propria abitazione) che in contesti pubblici (es. per strada, nel traffico) ma anche in contesti professionali (es. il posto di lavoro) o in contesti clinici (es. nel setting terapeutico).

Attacchi di rabbia

La tematica legata alla rabbia ha spinto la ricerca a produrre una discreta quantità di strumenti valutativi, utilizzati dagli psicologi per orientarsi dimensionalmente su questa emozione in ogni specifico caso trattato. Si tratta molto spesso di questionari self-report, che aiutano il clinico a individuare gli interventi di regolazione emotiva più specifici per il singolo caso.

La rabbia, proviamo a definirla

Psicologicamente, e quindi scientificamente, la rabbia è definibile come uno stato affettivo intenso che si attiva nell’individuo in risposta a stimoli sia interni sia esterni e alla loro interpretazione cognitiva. Può essere anche la conseguenza di un persistente stato di depressione, che va a generare frustrazione e vulnerabilità nell’individuo.

Come scritto all’inizio di questo articolo, la rabbia è una emozione di base universale (Ekman, 2004), che prescinde dall’età e dalla cultura di appartenenza. La sua funzione adattiva trova spazio nel naturale istinto di:

  • difesa per sopravvivere all’ambiente in cui ci si trova,
  • rispondere alle ingiustizie o torti subiti o percepiti,
  • reagire alla percezione della violazione dei propri diritti.

Generalmente, la rabbia stimola il comportamento verso la protezione dell’autostima, ma è tipicamente considerata per la sua valenza emotiva negativa e le conseguenze potenzialmente dannose che può produrre.

Citando DiGiuseppe e Tafrate (2007), in merito alla rabbia, leggiamo quanto segue:

“Uno stato emotivo sperimentato a livello soggettivo con un’elevata attivazione del sistema simpatico autonomo. È inizialmente suscitata dalla percezione di una minaccia, anche se può persistere dopo che la minaccia è passata. La rabbia è associata a cognizioni e pensieri di attribuzione e di valutazione che sottolineano le malefatte degli altri e motivano una risposta di antagonismo per contrastare, scacciare, ritorcere contro, o attaccare la fonte della minaccia percepita. La rabbia è comunicata attraverso la mimica facciale o posturale o inflessioni vocali, verbalizzazioni avverse e comportamento aggressivo”.

DiGiuseppe e Tafrate (2007)

La funzione adattiva della rabbia

Un aspetto che lega tutte le emozioni umane è quello che hanno sempre una funzione adattiva alla loro base, per tale motivo anche la rabbia ha una sua funzione adattiva.

La funzione adattiva della rabbia (o collera) si trova nel nostro istinto verso la difesa di noi stessi, di rispondere alla violazione dei propri diritti e, quindi, a tutela della nostra autostima e del nostro valore percepito.

Rabbia, collera, aggressività, violenza: sono la stessa cosa?

Alcuni ricercatori (Anolli, 2002) ritengono che sia più appropriato parlare di collera (dall’inglese “anger“) piuttosto che di rabbia, seppure nel gergo comune si utilizzi più spesso quest’ultima parola, per definire tale stato emotivo.

Altro termine utilizzato in maniera affine alla rabbia è l’aggressività, spesso usato in modo interscambiabile. Ma anche qui, i due termini non sempre coincidono. Se, infatti, la rabbia è uno stato emotivo, l’aggressione si riferisce ad un comportamento messo in atto. Di conseguenza l’aggressività corrisponde all’attacco fisico o verbale, e la rabbia coincide con l’intenso sentimento di malessere che tale comportamento può generare.

Inoltre, la rabbia può perdurare durante i comportamenti aggressivi (ad es. rompere o lanciare oggetti, alzare la voce, ecc.) e concorre a facilitarne la messa in atto (Anderson, Bushman, 2002). Parliamo di comportamenti che producono esiti negativi che possono andare dalle accese discussioni alla distruzione di proprietà, ma anche alle aggressioni fisiche.

Pertanto, gli individui che esperiscono elevati livelli di rabbia hanno anche maggiori probabilità di dover affrontare esiti particolarmente negativi come conseguenza delle loro azioni (Deffenbacher et al., 1996).

La violenza è quindi la conseguenza più drammatica tra quelle negative riconducibili alla rabbia, in quanto risulta essere la modalità più distruttiva di gestione di questo stato emotivo.

La rabbia, un processo dalle molte componenti

Come ogni altra emozione umana, anche la rabbia va intesa come un processo multifattoriale. Tra le sue componenti riscontriamo:

  • l’attivazione fisiologica del nostro organismo (attività cardiaca, respirazione, rilascio di adrenalina, ecc.),
  • l’attivazione cognitiva (interpretazioni, pensieri, credenze, valori, immagini, ecc.),
  • l’aspetto fenomenologico (consapevolezza soggettiva, lessico, ecc.),
  • l’aspetto espressivo e comportamentale (linguaggio del corpo, espressività facciale, acting-out, ecc.).

Tutte queste componenti interagiscono tra loro e vanno ad influenzare l’esperienza di rabbia soggettiva.

Perché proviamo rabbia verso coloro cui siamo maggiormente legati?

Sono numerosi i motivi per cui si può perdere la calma, ad esempio quando percepiamo in un altro individuo la responsabilità di averci procurato un danno, un disconoscimento o un fastidio. Così come, nel caso non riuscissimo a trovare un responsabile “esterno”, diventa possibile provare anche rabbia per se stessi.

Ma come mai proviamo rabbia, spesso anche più intensa del solito, anche verso le persone a cui siamo maggiormente legati a livello affettivo, come: genitori, coniugi e amici?
Il motivo è spesso legato al fatto che dai nostri affetti principali, le persone importanti della nostra vita, ci aspettiamo sempre di essere capiti e ascoltati, ma questo non può sempre avvenire e, in molti casi, questa cosa non riusciamo implicitamente ad accettarla.

Come trattare la regolazione emotiva della rabbia?

Molti autori indicano che il trattamento psicoterapeutico della regolazione emotiva della rabbia debba passare per il riconoscimento delle distorsioni cognitive (bias) che vanno a produrre nella persona l’attivazione di questo suo stato emotivo (Landenberger & Lipsey, 2005). Il terapeuta aiuterà anche nel processo di individuazione dello schema di pensieri e credenze irrigidite e generalizzate attraverso le quali l’individuo interpreta i suoi stimoli (interni e/o esterni).

A supporto di questo processo, molto spesso gli psicologi insegnano delle tecniche di rilassamento e meditazione, che contribuiscono a controllare l’attivazione fisiologica (DiGiuseppe, R., Tafrate, R. C. (2003).

Rivolgersi ad uno psicologo resta, pertanto, la scelta d’elezione per poter trattare la rabbia e migliorare il proprio benessere mentale e quello di chi ci è vicino.


Fonti:

  • Anderson, C. A., & Bushman, B. J. (2002). Human aggression. Annual Review of Psychology, 53, 27–51.
  • Anolli, L. (2002). Psicologia della comunicazione. Edizione Il Mulino
  • Deffenbacher, J., Oetting, E., Lynch, R., & Morris, C. (1996). The expression of emotion and its consequences. Behaviour Research and Therapy, 34, 575–590.
  • Day, A., Howells, K., Mohr, P., Schall, E., Gerace, A. (2008). The development of CBT programmes for anger: The role of interventions to promote perspective-taking skills. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 36, 299-312. Deffenbacher
  • DiGiuseppe, R., Tafrate, R. C. (2003). Anger treatment for adults: a meta-analytic review. Clinical Psychology: Science and Practice, I 0, 70-84
  • DiGiuseppe, R., & Tafrate, R. C. (2007). Understanding anger disorders. New York: Oxford University Press.
  • Dyer, K. F. W., Dorahy, M., Hamilton, G., Corry, M., Shannon, M., MacSherry, A., McRobert, G., Elder, R., McElhill, B. (2009). Anger, aggression, and self-harm in PTSD and Complex PTSD. Journal a/Clinical Psychology, 65, 1099-1114.
  • Ekman, Paul. “Emotions revealed.” Bmj 328.Suppl S5 (2004).
  • Korn, J., Mùcke, T. (2001). La violenza in pugno. Adolescenti e violenza. Tecniche di mediazione. EGA: Torino

Crediti immagini: Engin Akyurt, Julien L.