Disturbi alimentari: il ruolo della famiglia e delle relazioni interpersonali

I disturbi alimentari rappresentano una sfida complessa per chi li affronta, sia dal punto di vista fisico che psicologico. In particolare, le difficoltà nel superare questi disturbi possono essere viste attraverso un orientamento sistemico-relazionale, che mette in luce la complessità dei fattori che contribuiscono alla loro insorgenza e mantenimento.

L’orientamento sistemico-relazionale riconosce l’importanza del contesto sociale e delle relazioni interpersonali nel contribuire alla comparsa e alla persistenza dei disturbi alimentari. In questo senso, è fondamentale comprendere i modelli di interazione che si sviluppano all’interno della famiglia e della rete sociale, nonché il ruolo che i fattori culturali e di genere possono svolgere.

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Per esempio, molte persone con disturbi alimentari si sentono insicure nelle loro relazioni, sia con se stesse che con gli altri. La loro preoccupazione per il controllo del cibo e del peso può rappresentare una sorta di rifugio dalla complessità delle relazioni interpersonali, offrendo un senso di sicurezza e controllo. Tuttavia, questa strategia di coping può anche portare ad un maggiore isolamento sociale e ad una diminuzione della qualità delle relazioni.

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Inoltre, l’orientamento sistemico-relazionale evidenzia come i disturbi alimentari possano rappresentare un modo per le persone di esprimere le loro preoccupazioni e ansie, spesso in modo implicito e non verbale. Ad esempio, una persona che ha subito un trauma sessuale potrebbe sviluppare un disturbo alimentare come forma di auto-punizione o per evitare l’attenzione sessuale degli altri.

L’orientamento sistemico-relazionale mette in luce la complessità del processo di guarigione dai disturbi alimentari, che richiede non solo un cambiamento a livello individuale ma anche un cambiamento nel contesto sociale e relazionale in cui la persona è immersa. Ciò può richiedere un coinvolgimento attivo dei membri della famiglia e della rete sociale, non solo nel supportare la persona nel suo percorso di guarigione, ma anche nel riflettere e modificare i propri modelli di interazione e di comunicazione.

In altri termini, le difficoltà a superare i disturbi alimentari possono essere viste attraverso un orientamento sistemico-relazionale che mette in luce la complessità dei fattori che contribuiscono alla loro insorgenza e mantenimento. La comprensione di questi fattori e dei modelli di interazione e di comunicazione che si sviluppano all’interno delle relazioni interpersonali è fondamentale per la definizione di un percorso di guarigione efficace e duraturo.

Qual è il ruolo della famiglia nell’insorgere di un disturbo alimentare?

Secondo il modello sistemico, la famiglia gioca un ruolo importante nello sviluppo, il mantenimento e la risoluzione dei disturbi alimentari. In particolare, la famiglia è vista come un sistema dinamico in cui gli individui interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, influenzandosi reciprocamente.

Il modello sistemico riconosce che i disturbi alimentari possono avere cause multifattoriali, che includono fattori biologici, psicologici, sociali e familiari. In questo contesto, il ruolo della famiglia viene considerato in relazione alla dinamica e alla comunicazione tra i membri, ai modelli di comportamento e di relazione, ai conflitti e alle tensioni che possono influenzare il benessere emotivo e fisico delle persone coinvolte.

La terapia sistemica delle famiglie con persone affette da disturbi alimentari si concentra sulla comprensione e la modifica dei modelli disfunzionali di interazione, sulla promozione di strategie di comunicazione più efficaci e sulla creazione di un ambiente di supporto emotivo per la persona malata. La terapia può anche coinvolgere la famiglia nel processo di recupero e di sostegno emotivo, fornendo loro gli strumenti per gestire lo stress e per aiutare la persona malata a recuperare una relazione più sana con il cibo e il proprio corpo.

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In sintesi, secondo il modello sistemico, il coinvolgimento della famiglia può essere un elemento importante nella gestione e nel trattamento dei disturbi alimentari, offrendo un supporto emotivo e pratico alla persona malata e favorendo un ambiente più sano e di sostegno per la sua guarigione.

Le principali forme di disturbo del comportamento alimentare

Ci sono diverse forme di disturbi alimentari, che possono variare in base alle caratteristiche cliniche, ai sintomi e alle conseguenze per la salute fisica e mentale delle persone che ne soffrono. Tra i disturbi alimentari più comuni ci sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata.

L’anoressia nervosa è caratterizzata da una marcata perdita di peso, una paura intensa di ingrassare e una distorsione dell’immagine corporea. Le persone che ne soffrono possono limitare drasticamente l’assunzione di cibo, evitare determinati alimenti o ridurre il loro consumo a poche calorie al giorno. Possono anche impegnarsi in comportamenti di purga o di esercizio fisico eccessivo per perdere peso.

La bulimia nervosa, invece, è caratterizzata da episodi di abbuffata seguiti da comportamenti compensatori per evitare il guadagno di peso, come il vomito autoindotto, l’uso di lassativi o diuretici, o l’esercizio fisico eccessivo. Le persone che soffrono di bulimia nervosa possono avere un peso normale o leggermente sopra la media.

Il disturbo da alimentazione incontrollata, noto anche come binge eating disorder, è caratterizzato da episodi regolari di abbuffate senza alcun comportamento compensatorio per evitare il guadagno di peso. Le persone che soffrono di questo disturbo possono avere un peso normale o sovrappeso.

Oltre a questi disturbi alimentari, esistono anche altre forme meno comuni come il disturbo da alimentazione notturna e il disturbo da pica, in cui le persone mangiano sostanze non commestibili come la carta o la vernice.

In generale, tutti i disturbi alimentari possono avere conseguenze gravi sulla salute fisica e mentale delle persone che ne soffrono, e il loro trattamento richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga professionisti della salute mentale, medici e nutrizionisti.

Quando e perché si arriva a vedere il cibo come sostituto dell’affetto?

Le ragioni che portano una persona a utilizzare il cibo come sostituto dell’affetto possono essere molteplici e complesse. Una delle motivazioni principali è legata alla ricerca di comfort e di una forma di gratificazione immediata. Il cibo può diventare un meccanismo di coping per far fronte a emozioni negative come ansia, tristezza, solitudine o stress, offrendo un senso di appagamento e di piacere immediato.

Inoltre, l’uso del cibo come sostituto dell’affetto può essere associato ad una bassa autostima e a difficoltà nel rapporto con il proprio corpo. La persona potrebbe sentirsi inadeguata o insicura rispetto alla propria immagine corporea e utilizzare il cibo come forma di auto-punizione o come meccanismo per controllare il proprio peso e la propria forma fisica.

In alcuni casi, il cibo può diventare una forma di comunicazione non verbale per esprimere bisogni non soddisfatti, come la necessità di affetto e di attenzione. Ad esempio, una persona che non si sente abbastanza amata o apprezzata potrebbe utilizzare il cibo come forma di richiesta d’affetto, cercando di ottenere attenzione e cura da parte degli altri.

Inoltre, fattori culturali e di genere possono giocare un ruolo importante nell’uso del cibo come sostituto dell’affetto. Ad esempio, le donne possono sentirsi maggiormente sotto pressione rispetto alla loro immagine corporea e all’apparenza fisica, in una società che valorizza la magrezza come standard di bellezza. In questo contesto, l’uso del cibo come meccanismo di controllo del peso può rappresentare una forma di adesione ai valori culturali dominanti.

In ogni caso, è importante sottolineare come l’uso del cibo come sostituto dell’affetto possa rappresentare una strategia inefficace e dannosa nel lungo termine, che può portare a problemi di salute fisica e mentale. Una terapia mirata alla comprensione delle motivazioni e delle dinamiche sottostanti all’uso del cibo come meccanismo di coping può essere utile per favorire una maggiore consapevolezza e un cambiamento positivo nell’approccio al cibo e alle relazioni interpersonali.

Perché coinvolgere uno psicologo in caso di disturbi del comportamento alimentare?

Lo psicologo ha un ruolo centrale nel trattamento dei disturbi alimentari, in quanto può fornire una valutazione clinica e una diagnosi accurata, nonché un supporto terapeutico mirato alla comprensione delle dinamiche sottostanti all’uso del cibo come meccanismo di coping.

Nello specifico, un approccio sistemico-relazionale può essere particolarmente utile per comprendere le relazioni interpersonali e le dinamiche familiari che possono contribuire allo sviluppo e alla persistenza dei disturbi alimentari. In questo contesto, lo psicologo può lavorare con il paziente e con la sua famiglia per favorire una maggiore consapevolezza e una migliore comunicazione, e per promuovere una maggiore flessibilità e adattabilità nell’affrontare le difficoltà quotidiane.

Inoltre, lo psicologo può utilizzare tecniche terapeutiche basate sulla mindfulness e sull’accettazione, per favorire la consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri pensieri, e per aiutare il paziente a sviluppare una maggiore tolleranza al disagio e una maggiore resilienza.

Infine, lo psicologo può collaborare con altri professionisti, come dietologi, psichiatri e medici, per fornire un trattamento integrato e multidisciplinare, che tenga conto delle diverse dimensioni del disturbo alimentare e che favorisca un percorso di guarigione completo e duraturo.


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