Mobbing sul lavoro: oltre il conflitto, dentro il cuore del disagio professionale

Il mobbing sul lavoro è un tema molto attuale. Il luogo di lavoro, idealmente, dovrebbe essere un ambiente di crescita, collaborazione e realizzazione. Spesso, però, si trasforma in un teatro di dinamiche complesse e, in alcuni casi, distruttive. Tra queste, il mobbing è una delle più insidiose e dolorose, un fenomeno che va ben oltre il mero conflitto interpersonale, toccando le corde più profonde della psiche e minando il benessere psicologico e fisico dell’individuo.

Non si tratta di una singola discussione o di un episodio isolato di tensione, bensì di un modello di comportamento ostile e ripetuto, esercitato con regolarità per un periodo di tempo prolungato, con l’obiettivo implicito o esplicito di emarginare, umiliare o addirittura espellere una persona dall’ambiente lavorativo. Questo processo lento e logorante crea un terreno fertile per il disagio psicologico, trasformando la quotidianità lavorativa in una fonte costante di stress lavoro correlato.

Il labirinto emotivo: vivere il mobbing sul lavoro dall’interno

Comprendere il mobbing sul posto del lavoro significa addentrarsi nel suo labirinto emotivo, un’esperienza che spesso sfugge alle definizioni comuni e si insinua nella vita della vittima con una gradualità quasi impercettibile. Inizialmente, può manifestarsi come una sensazione vaga di disagio, una crescente percezione di non essere “a proprio agio”. Forse una battuta apparentemente innocua ma pungente, un compito inspiegabilmente sottratto, un’informazione cruciale che non viene condivisa. Questi primi segnali sono come piccole crepe nel muro della fiducia, facilmente razionalizzabili come “errori di comunicazione” o “malintesi”.

Ma con il tempo, la frequenza e l’intensità di questi episodi aumentano, e la vittima si ritrova intrappolata in una rete di umiliazioni, isolamento e svalutazione. L’autostima, pilastro fondamentale della propria identità e del proprio valore professionale, inizia a sgretolarsi. Quella sensazione di competenza e di controllo sulla propria vita lavorativa si trasforma in un profondo senso di inadeguatezza. Si inizia a dubitare delle proprie capacità, delle proprie intenzioni, persino della propria sanità mentale. “Sono io quello sbagliato? Sto esagerando? È solo la mia sensibilità a farmi percepire queste cose?” sono domande che riecheggiano incessantemente nella mente, alimentando un ciclo vizioso di ansia e insicurezza.

Il mobbing genera un profondo senso di isolamento. Non solo la vittima è spesso esclusa dalle comunicazioni e dalle decisioni, ma la natura stessa del fenomeno, così subdola e difficile da dimostrare, rende arduo parlarne. Il timore di non essere creduti, di essere etichettati come “problematici” o “lamentosi”, porta molti a chiudersi in un silenzio doloroso. Questo silenzio amplifica la solitudine e la vergogna, alimentando la convinzione di essere soli ad affrontare un mostro invisibile.

essere vittima di mobbing sul lavoro

Alcuni scenari tipici di mobbing sul lavoro

Il mobbing sul lavoro si manifesta in molteplici forme, alcune palesi, altre velate, ma tutte ugualmente corrosive. Esploriamo alcuni scenari tipici, non per creare prototipi, ma per dare forma alla complessità di questi contesti.

1. L’erosione silenziosa: il caso delle competenze sottovalutate

Immaginiamo Anna, una grafica con anni di esperienza e un portfolio invidiabile, apprezzata per la sua creatività e precisione. Un nuovo responsabile arriva e, apparentemente senza motivo, inizia a delegarle incarichi sempre più marginali e dequalificanti. I suoi progetti più ambiziosi vengono assegnati a colleghi meno esperti, e ogni sua proposta viene sistematicamente ignorata o criticata in modo sproporzionato durante le riunioni. “Anna, sei sicura che questo sia il massimo che puoi fare? Non mi sembra all’altezza dei nostri standard” – frasi come queste, pronunciate con tono distaccato o persino con un sorriso beffardo, la fanno sentire costantemente sotto esame, come se le sue competenze si fossero improvvisamente evaporate. Non ci sono urla o aggressioni dirette, ma un costante e metodico smantellamento del suo ruolo e della sua professionalità. Anna inizia a chiedersi se sia diventata davvero incompetente, perdendo fiducia nelle sue abilità e persino nella sua passione per il lavoro.

Riflessione: Questo scenario illustra come il mobbing possa agire attraverso la svalutazione professionale, un attacco diretto all’identità lavorativa. Non è un rifiuto esplicito, ma un’esclusione progressiva che mira a rendere la vittima invisibile o inefficace, generando stress lavoro correlato e minando l’autostima fino a portare al burnout.

2. L’arena sociale: Il caso dell’esclusione sottile

Consideriamo Marco, un impiegato esemplare, sempre disponibile e benvoluto dai colleghi. Dopo una riorganizzazione interna, si ritrova con un nuovo team. Inizialmente, tutto sembra normale, ma presto le piccole cose cominciano a sommarsi: le conversazioni si interrompono quando si avvicina, gli inviti a pranzo non gli vengono più estesi, le email cruciali per il lavoro gli arrivano in ritardo o non arrivano affatto. Durante le pause caffè, il gruppo parla di lui con sguardi fugaci e sorrisetti, ma non appena cerca di inserirsi, la conversazione cambia bruscamente argomento. Si sente come un fantasma, presente fisicamente ma invisibile socialmente. La sua richiesta di chiarimenti viene accolta con risposte evasive o accusatorie: “Sei tu che ti isoli, Marco“, oppure “Non abbiamo tempo per queste sensibilità“. Questa forma di esclusione sociale costante genera in Marco un senso di ansia generalizzata e un profondo malessere, rendendo ogni giorno lavorativo un’agonia.

Riflessione: Qui il mobbing si manifesta attraverso l’ostracismo e la diffusione di pettegolezzi. L’isolamento e la denigrazione sociale sono strumenti potenti per minare la reputazione e il benessere emotivo della persona, rendendo il luogo di lavoro un ambiente tossico e minando le relazioni interpersonali.

3. La trappola della pretesa: il caso degli obiettivi impossibili

Sofia è una responsabile di progetto brillante e determinata. Il suo nuovo superiore, tuttavia, le assegna sistematicamente obiettivi irrealistici e scadenze impossibili, sapendo che non potranno essere rispettati. Sebbene Sofia si sforzi oltre ogni limite, lavorando ben oltre l’orario e sacrificando la sua vita personale, non riesce mai a soddisfare le aspettative. Ogni fallimento (predeterminato) viene usato come pretesto per richiami pubblici, spesso con toni accusatori e denigratori, di fronte a colleghi e sottoposti. “Non sei all’altezza“, “Non hai le capacità per questo ruolo“, sono le frasi che le vengono ripetute. Questo ciclo di pretese eccessive e critiche distruttive ha distrutto la sua motivazione e le ha fatto percepire ogni giorno come una lotta estenuante, portandola a dubitare profondamente della sua stessa professionalità, nonostante le sue passate eccellenze.

Riflessione: Questo scenario mette in luce come il mobbing possa concretizzarsi attraverso la sistematica attribuzione di compiti che portano al fallimento, al fine di dimostrare un’inefficienza che non esiste. Si tratta di una manipolazione psicologica volta a delegittimare la vittima e a indurla, magari, a dimettersi o a cadere in uno stato di grave depressione o burnout.

mobbing sul lavoro licenziamento

Le difficoltà e i rischi correlati al mobbing sul lavoro

Affrontare il mobbing non è solo difficile, è logorante. Le sfide non si limitano alla sfera lavorativa, ma si estendono alla vita personale, alla salute e persino alla percezione di sé. Uno dei rischi maggiori è la “normalizzazione” dell’abuso. La natura insidiosa del mobbing, che procede a piccoli passi, porta la vittima a sottovalutare l’entità del problema, a giustificare i comportamenti degli aggressori, o a credere di essere in qualche modo responsabile della situazione. “Se solo avessi fatto questo…“, “Forse ho reagito in modo eccessivo…“, questi pensieri alimentano un profondo senso di colpa e rafforzano l’idea che il problema risieda in sé stessi, anziché nella dinamica tossica.

Questa auto-attribuzione di responsabilità è estremamente pericolosa. Spinge le vittime a un auto-isolamento ancora maggiore, per la vergogna e il timore del giudizio. Il timore di ritorsioni, di perdere il lavoro o di compromettere la propria carriera, spesso le blocca dal chiedere aiuto o denunciare. Il silenzio non è una scelta, ma una prigione costruita dalla paura. La paura non è solo del licenziamento, ma della stigmatizzazione, del “marchio” che potrebbe accompagnarle in futuri contesti lavorativi. Questa paralisi emotiva può portare a un presenteismo – la presenza fisica al lavoro ma con una totale assenza di impegno e motivazione – che esaurisce le energie residue e prolunga l’agonia.

I rischi per la salute sono concreti e devastanti. Lo stress lavoro correlato cronico innescato dal mobbing non è solo un disagio emotivo; ha ripercussioni fisiologiche significative. Disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), problemi gastrointestinali, cefalee croniche, indebolimento del sistema immunitario, e persino patologie cardiovascolari possono essere manifestazioni fisiche di un profondo malessere psicologico. A livello mentale, la vittima può sviluppare ansia generalizzata, attacchi di panico, fobie sociali, e in molti casi, una profonda e persistente depressione. In situazioni estreme, il trauma subito può portare allo sviluppo di un Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), richiedendo un percorso di cura complesso e prolungato.

Un altro rischio è la perdita di fiducia non solo negli altri, ma anche nelle istituzioni. Quando le segnalazioni cadono nel vuoto, o la gestione del problema si rivela inadeguata, la vittima perde la fede nella giustizia e nella possibilità di ottenere protezione. Questo alimenta un senso di hopelessness, di impotenza e disperazione, che rende ancora più arduo il recupero e la riprogettazione della propria vita, sia professionale che personale. Le relazioni personali al di fuori del lavoro possono risentirne: la persona, prosciugata dalle energie e dalla fiducia, potrebbe isolarsi anche dagli affetti più cari, perdendo ulteriori reti di supporto.

Tracciare la via: quando ricorrere allo psicologo

Riconoscere di essere vittime di mobbing è il primo, coraggioso, passo verso la ripresa del proprio benessere. È un atto di lucidità e auto-protezione. Questo riconoscimento, tuttavia, non è sempre facile e spesso richiede un confronto esterno.

Se senti che il tuo ambiente lavorativo ti sta logorando, se le domande sul tuo valore professionale si sono trasformate in tormenti quotidiani, se avverti un costante senso di disagio, ansia o tristezza legato al tuo lavoro, è fondamentale non sottovalutare questi segnali. Non si tratta di debolezza, ma di una risposta sana a una situazione patologica. Il tuo corpo e la tua mente stanno cercando di comunicarti qualcosa di importante.

Non c’è nulla di retorico o banale nell’invito a consultare uno psicologo esperto in psicologia del lavoro o in clinica. Al contrario, è un gesto di profonda resilienza e consapevolezza di sé. Un professionista può offrirti uno spazio sicuro e imparziale dove esplorare le tue emozioni, validare la tua esperienza e aiutarti a dare un nome a ciò che stai vivendo. Attraverso un percorso di psicoterapia, è possibile ricostruire l’autostima erosa, imparare strategie di coping efficaci, sviluppare nuove modalità di regolazione emotiva e, non meno importante, valutare le opzioni pratiche per affrontare la situazione lavorativa, sia essa la ricerca di un nuovo impiego o l’attivazione di tutele legali.

forme di mobbing sul lavoro come capire se siamo vittime

Lo psicologo non è lì per giudicare, ma per accompagnarti in un percorso di guarigione e rinforzo. Può aiutarti a discernere tra un conflitto comune e le dinamiche tossiche del mobbing, a ripristinare la tua percezione della realtà, distorta dalla manipolazione e dall’abuso emotivo subito. Non è un percorso facile, ma è la via per riprendere il controllo della propria vita, per ritrovare la propria voce e per ricostruire un futuro lavorativo e personale improntato al benessere.

Il mobbing può lasciarti con cicatrici profonde, ma non deve definirti. La capacità umana di resilienza è straordinaria, e con il giusto supporto, è possibile non solo sopravvivere, ma prosperare al di là delle esperienze più difficili. Ricorda: il valore di una persona non è mai determinato dalla tossicità dell’ambiente in cui si trova, ma dalla sua intrinseca dignità e dal suo coraggio di cercare la luce anche nel più fitto dei labirinti.


Riferimenti Bibliografici

  • Leymann, H. (1996). The Content and Development of Mobbing at Work. European Journal of Work and Organizational Psychology, 5(2), 165–184. DOI: 10.1080/13594329608414853
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