L’autolesionismo in adolescenza è un fenomeno complesso e multifattoriale, che richiede una comprensione approfondita degli aspetti psicologici che ne sottendono.
In primo luogo, va sottolineato che l’autolesionismo può essere considerato un sintomo di disagio psicologico, piuttosto che una patologia in sé stessa. Spesso, infatti, l’autolesionismo è una risposta a un dolore emotivo intenso, come la depressione, l’ansia, il disturbo da stress post-traumatico, l’abuso sessuale o la violenza domestica.
Tuttavia, l’autolesionismo può anche essere una strategia di coping disfunzionale, utilizzata per alleviare momentaneamente il dolore emotivo o per esprimere rabbia e frustrazione. In questo caso, l’autolesionismo diventa un circolo vizioso, in cui la persona si autolesiona per sentirsi meglio, ma poi prova sensi di colpa e vergogna, alimentando ulteriormente il proprio disagio.
Per quale motivo mia figlia si taglia?
Per comprendere meglio l’autolesionismo in adolescenza, è importante considerare anche alcuni fattori di rischio psicologici che possono contribuire alla sua comparsa. In particolare, l’autolesionismo è più comune tra i giovani che hanno vissuto esperienze di trauma, come abusi, trascuratezza o separazione dei genitori. Inoltre, i giovani che soffrono di problemi di autostima, di identità sessuale o di orientamento sessuale possono essere maggiormente inclini all’autolesionismo.
Dal punto di vista psicologico, l’autolesionismo può avere conseguenze negative sia a breve che a lungo termine sulla salute mentale e fisica degli adolescenti. In primo luogo, l’autolesionismo può portare ad un aumento della depressione, dell’ansia e del rischio di suicidio. Inoltre, l’autolesionismo può causare danni fisici permanenti, come cicatrici e infezioni, e può compromettere la capacità di gestire lo stress e di affrontare i problemi in modo sano ed efficace.
Per prevenire l’autolesionismo in adolescenza, è importante che genitori, insegnanti e professionisti della salute mentale siano in grado di riconoscere i segnali di allarme e di offrire un sostegno adeguato. In particolare, è fondamentale creare un ambiente familiare e scolastico sicuro e accogliente, che promuova la comunicazione e il dialogo aperto tra i giovani e gli adulti.
A tale scopo uno psicologo rappresenta un ausilio che in certi casi risulta fondamentale per l’intero sistema familiare.
Mia figlia si taglia ma non vuole andare dallo psicologo
Se un’adolescente che si taglia non vuole andare dallo psicologo, può essere utile adottare alcune strategie per motivarla ad accettare la terapia. Ecco alcune possibili opzioni:
- Comunicare l’importanza della terapia: spiegare all’adolescente che la terapia può aiutare a comprendere meglio le proprie emozioni, sviluppare nuove strategie per affrontare lo stress e migliorare la propria autostima. È importante comunicare che la terapia non è un segno di debolezza, ma un modo per ottenere supporto per affrontare le difficoltà.
- Coinvolgere la famiglia: coinvolgere la famiglia può essere utile per aiutare l’adolescente ad accettare la terapia. Si può spiegare alla famiglia l’importanza della terapia e chiedere il loro supporto per convincere l’adolescente ad andare dallo psicologo.
- Parlare con il medico di famiglia: il medico di famiglia potrebbe essere un’ottima risorsa per indirizzare l’adolescente verso la terapia psicologica e fornire informazioni sulle possibili opzioni terapeutiche.
- Offrire alternative alla terapia: se l’adolescente non vuole andare dallo psicologo, si può considerare l’offerta di alternative come gruppi di supporto, attività ricreative o sportive, o attività che promuovono il benessere mentale come la meditazione o lo yoga.
- Mantenere la comunicazione aperta: è importante mantenere la comunicazione aperta con l’adolescente e incoraggiarlo a parlare dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. È possibile utilizzare questo dialogo per spiegare l’importanza della terapia e di come può aiutare ad affrontare le difficoltà.
Tuttavia, se l’autolesionismo diventa grave o pericoloso per la salute dell’adolescente, è importante agire rapidamente e cercare il supporto di un professionista della salute mentale qualificato.
Autolesionismo in adolescenza: quando coinvolgere uno psicologo e perché?
Coinvolgere uno psicologo in caso di autolesionismo in adolescenza può essere molto utile per diversi motivi.
In primo luogo, uno psicologo è in grado di valutare se l’autolesionismo è un comportamento isolato o se è un sintomo di un disturbo psicologico sottostante. La diagnosi corretta è fondamentale per poter pianificare un intervento terapeutico mirato e adeguato.
In secondo luogo, uno psicologo può aiutare il giovane a comprendere meglio le cause dell’autolesionismo e a sviluppare nuove strategie per affrontare le emozioni negative. La terapia psicologica può aiutare l’adolescente a sviluppare abilità di regolazione emotiva, ad aumentare la consapevolezza delle proprie emozioni e a migliorare la propria autostima.
Inoltre, uno psicologo può fornire supporto e sostegno emotivo sia all’adolescente che alla sua famiglia. Gli operatori della salute mentale possono aiutare i genitori a comprendere meglio il comportamento del loro figlio e a sviluppare strategie per comunicare in modo efficace e costruttivo con lui.
Infine, la terapia psicologica può contribuire a prevenire il rischio di ricadute nel comportamento autolesionistico. Grazie al sostegno dello psicologo, il giovane può sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e delle sue emozioni, migliorare la propria capacità di gestire lo stress e sviluppare nuovi modi di far fronte alle difficoltà della vita.
In sintesi, coinvolgere uno psicologo in caso di autolesionismo in adolescenza può essere molto utile per identificare le cause sottostanti del comportamento, sviluppare nuove strategie di gestione emotiva, fornire supporto sia all’adolescente che alla sua famiglia e prevenire il rischio di ricadute.
Riferimenti bibliografici
- Cicchetti, D., & Toth, S. L. (2005). Child maltreatment. Annual review of clinical psychology, 1, 409-438.
- Diamond, G. S., Reis, B. F., Diamond, G. M., Siqueland, L., & Isaacs, L. (2002). Attachment‐based family therapy for depressed adolescents: A treatment development study. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 41(10), 1190-1196.
- Gonzalez, A., Barrios, V., & Montero, I. (2013). Self-injurious behaviors in adolescence: A systemic-relational approach. International Journal of Psychological Research, 6(2), 79-87.
- Kerr, D. C., Capaldi, D. M., Owen, L. D., Wiesner, M., & Pears, K. C. (2008). Changes in at-risk American men’s crime and substance use trajectories following fatherhood. Journal of Marriage and Family, 70(2), 336-348.
- Shaffer, D., Craft, L., & Kupfer, D. J. (2004). Suicide and suicidal behavior. Archives of General Psychiatry, 61(2), 129-136.
- Stolberg, M. (2004). An ecological approach to understanding youth suicidal behavior. Adolescence, 39(153), 109.
- Wingate, L. R., & Joiner Jr, T. E. (2004). Do depressive symptoms cluster within individuals over time? Journal of Clinical Psychology, 60(12), 1215-1229.
Crediti immagini: freepik